Gangster digitali. Nella tempesta che sta investendo Facebook fra Europa e Stati Uniti – tra violazioni della privacy degli utenti e polemiche sulle fake news – un’accusa del genere non si era ancora sentita. È arrivata ieri, nero su bianco, dalla commissione parlamentare britannica sui media che, dopo mesi d’inchiesta, chiede di mettere sotto la sorveglianza delle leggi nazionali e di una authority ad hoc il colosso americano di Mark Zuckerberg e gli altri social della Silicon Valley. Il tutto mentre Facebook starebbe negoziando con l’ente regolatore del commercio degli Stati Uniti una sanzione da due miliardi di dollari per violazione degli impegni di protezione dei dati personali dei suoi iscritti. La multa record permetterebbe di evitare un nuovo processo.
Il 2018 è stato un anno orribile per Facebook: il gruppo di Mark Zuckerberg ha visto affastellarsi problemi, perdite finanziarie e addii di manager, fino allo scandalo Cambridge Analytica. Si inizia il 25 gennaio, quando George Soros definisce il social network e Google una minaccia che ostacola l’innovazione. Il 17 marzo The Observer pubblica l’inchiesta su Cambridge Analytica. La società d’analisi, che ha indirizzato di Donald Trump, ha utilizzato i dati di decine di milioni di utenti senza il loro consenso. Il 20 marzo il co-fondatore di WhatsApp, Brian Acton, avvia la campagna Cancella Facebook. In aprile Zuckerberg risponde davanti al Congresso Usa. Il 25 maggio entra in vigore il nuovo regolamento europeo sulla privacy.
Il 3 giugno il New York Times rivela che Facebook ha concesso ai grandi produttori di smartphone – come Apple, Samsung e Microsoft – l’accesso a una grande quantità di dati. Il 25 luglio il crollo del titolo dopo la trimestrale: in 90 minuti il titolo cede il 20% e brucia 120 miliardi di dollari. Il 28 settembre Facebook dice di essere stata hackerata, compromessi i dati di 30 milioni di utenti. Il 14 novembre il New York Times pubblica una raccolta di e-mail e testimonianze. Il 14 dicembre nuovo bug sulle foto di 7 milioni di utenti. Il 5 dicembre il Parlamento britannico dirama 250 pagine di documenti, in gran parte riservati. Il 19 dicembre il governo degli Stati Uniti fa causa a Facebook proprio per il caso Cambridge Analytica.
Rimanendo dentro i confini nazionali, l’Antitrust italiana si è mossa in anticipo rispetto ad altre Authority europee su uno dei temi caldi della digitalizzazione: quello dell’utilizzo dei dati degli utenti a scopo commerciale. La decisione rischia di provocare una serie di reazioni a catena anche in altri Paesi. Dopo le sanzioni comminate ad Apple e Samsung in ottobre per gli aggiornamenti ai software che riducono le prestazioni dei telefoni, riferibile alla cosiddetta obsolescenza programmata, l’Autorità garante della concorrenza ha colpito Facebook, imponendo alla società madre e alla sua sussidiaria irlandese 10 milioni di euro complessivi di multa per aver indotto “ingannevolmente” gli utenti a registrarsi alla piattaforma social.