Continua a crescere la diffusione delle tecnologie Ict nel nostro Paese anche se rimane un gap rilevante rispetto all’Ue sia per le imprese sia per i cittadini. L’Istat fotografa così la situazione dell’Italia, evidenziando come ancora un quarto delle famiglie sia ancora senza accesso a Internet, più di una famiglia su due non ce l’ha perché non sa usarlo e, per quanto riguarda le imprese, restano ancora carenti le professionalità Ict e si evidenzia un ampio divario tra grandi e piccole aziende. Rispetto al 2017, si legge nel Report “Cittadini, imprese e Ict”, la quota di famiglie che dispone di un accesso Internet da casa è passata dal 71,7% al 75,1%.

Tra le famiglie resta un forte divario digitale da ricondurre soprattutto a fattori generazionali e culturali: le più connesse sono quelle in cui è presente almeno un minore, le meno connesse sono quelle con soltanto ultrasessantacinquenni.

Il tutto mentre fa ancora discutere la scoperta del mega archivio con e-mail e password rubate per un totale di 773 milioni di indirizzi e oltre 21 milioni di parole chiave. «Propendo più per l’ipotesi del maxi archivio che riunisce i dati di vecchi furti, piuttosto che per quella di un grande e nuovo furto. Ma non è tranquillizzante nessuna delle due ipotesi, consiglio agli utenti di cambiare subito password»: è il parere di Gabriele Faggioli, responsabile dell’Osservatorio Information e Privacy del Politecnico di Milano e Ceo della società di sicurezza P4I, a proposito di Collection #1, il grande archivio che contiene oltre 770 milioni di email e 22 milioni di password rubate e messe in chiaro online.

«È evidente che la cosa spiacevole è che chiunque possa andare a sfrugugliare dentro email altrui – aggiunge l’esperto – gli utenti devono però avere regole di comportamento minimo sulla sicurezza online, come cambiare spesso le proprie credenziali di accesso e non usare le stesse per tutti i siti. E anche non lasciare sul cloud e nella rete materiale che si ritiene possa avere una incidenza negativa per la propria persona». Secondo Faggioli, «la vera questione che preoccupa» è il coinvolgimento della aziende in questo tipo di furti con «la comunicazione digitale basilare per la loro vita».

«Se sei una società che ha informazioni sensibili o quotata in Borsa, trovarsi nella lista può essere un problema serio – spiega – Se un hacker volesse fare un’azione più sofisticata, potrebbe raccogliere informazioni e email della stessa azienda». «I dati frutto di cyber-furti più vecchi non si possono collocare temporalmente – aggiunge – è impossibile sapere quanti casi di hackeraggi ci sono stati nella storia anche perché molti non sono neanche resi pubblici. Mi aspetto però che queste informazioni siano messe in vendita e sfruttate», conclude Faggioli.

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