Criptovalute in generale e Bitcoin in particolare, da alcuni mesi è facile incontrare su Facebook pubblicità mirate che invitano all’investimento. Il punto è che non sempre sono evidenziati i rischi delle monete digitali, fino al punto di promuovere vere e proprie truffe ovvero monete di cartone senza tecnologia né valore. Ecco allora che la più popolare delle piattaforme di social network ha annunciato la messa al bando di tutte le pubblicità su gettoni digitali e Ico, le loro campagne di offerta al pubblico, “prodotti e servizi finanziari spesso associati a pratiche promozionali fuorvianti o ingannevoli”. Si tratta evidentemente di un duro colpo alle valute virtuali, su cui cresce l’attenzione dei regolatori. Vale la pena far presente che Facebook riconosce che si tratta di un divieto ampio, ma solo in attesa di affinare il meccanismo per scovare le offerte fraudolente.
Social da tassare il fumo
I social media sono come le sigarette, l’alcol o lo zucchero: una dipendenza e un rischio per la salute e, come tali, dovrebbero essere tassati. A dirlo è Marc Benioff, fondatore e amministratore delegato di Saleforce, tra le principali società al mondo per soluzioni di cloud computing e tra le prime billion company degli anni 2000. Si tratta di affermazioni destinate a far discutere: a suo dire queste tecnologie sono disegnate apposta per rendere gli utenti sempre più dipendenti, sottolineando i fenomeni sempre più diffusi di fake news e radicalizzazione. E ha quindi chiesto che i governi intervengano per regolamentarne l’uso, anche educando i genitori.
Rischia multa chi usa su Facebook foto di altri
Un gesto compiuto con imperdonabile leggerezza, apparentemente innocuo e molto diffuso, come usare per il proprio profilo Facebook la foto di un’altra persona può comportare invece guai con la giustizia. La Corte di cassazione ha confermato a una trentenne di Pordenone la pena patteggiata di 15 giorni di reclusione, convertita in un multa da 3.750 euro, per il reato di sostituzione di persona. L’articolo di riferimento per chi vuole approfondire la questione dal punto di vista giuridico è il 494 del codice penale. L’imputata ha presentato ricorso in Cassazione contro la sentenza del gip della sua città che non le aveva consentito la sospensione del procedimento con la messa alla prova.
Il ricorso è stato rigettato dalla quinta sezione penale, che ha considerato inappellata la decisione del gip. La donna nell’istanza di revoca del consenso al patteggiamento non aveva fatto esplicita richiesta di sospensione ma aveva solo chiesto più tempo. In assenza di una decisione sulla strategia difensiva, il gip non aveva ritenuto di revocare la pena concordata.