Spesso, quando si parla di licenziamenti in aziende si scrivono poche parole di cronaca e si liquida facilmente la vicenda, ma non può e non deve essere così. Perché di mezzo ci sono singoli casi, singole tragedie e singole questioni che andrebbero affrontate una per una. E che spingono a una riflessione profonda. Come quello di Giovanni Mancuso, uno dei 497 dipendenti della Embraco, azienda produttrice di compressori per i frigoriferi, sul punto di essere messo alla porta. L’azienda si giustifica con la scarsa redditività dell’impianto nonostante gli investimenti nel corso degli anni. Ma in ogni caso c’è una responsabilità verso i dipendenti da cui non si può sottrarre. Anche nei confronti di Giovanni, il cui primo passo in fabbrica risale al secolo scorso. Proprio così, esattamente al 1995. E lì è cresciuto e ha conosciuto sua moglie.
La decisione di rinunciare alla fabbrica di Riva presso Chieri, nel Torinese, prende le mosse dalla competitività del settore e da investimenti che si sono evidentemente rivelati poco produttivi. Ma come racconta Giovanni, raggiunto dal Fatto Quotidiano, i problemi sono nati all’indomani dell’apertura in Slovacchia a metà anni Duemila. Qui gli italiani insegnavano il lavoro agli operai slovacchi, ben sapendo che su di essi pendeva la condanna lavorativa a morte perché già si vociferava della chiusura dello stabilimento. E in effetti, nell’arco di pochi anni la situazione è precipitata per poi cristallizzarsi nel piano di reindustrializzazione del 2004 con il dimezzamento dei volumi produttivi.
Licenziamenti a raffica
I numeri della crisi sono impressionanti: 172 tavoli aperti al Ministero dello Sviluppo Economico. Significa che è in gioco il lavoro per 180.000 persone: i dati 2017 sono i più alti degli ultimi sei anni, con un aumento dei posti di lavoro a rischio dal 2012 a oggi del 37%, sia pur in un quadro che per il Ministero è di sostanziale stabilità. Oggi i riflettori sono su Embraco e i suoi 497 dipendenti. I fari mediatici si accendono di volta in volta su vertenze diverse, ma c’è uno scenario di fondo pesante. Nel 2012 i tavoli aperti erano erano 119, i posti di lavoro a rischio 118.000. La media 2012-2017 – i dati sono del Ministero dello Sviluppo Economico – è di 146 tavoli aperti per 143.000 dipendenti interessati. Dal 2016 al 2017 i lavoratori coinvolti sono 25.000 in più, dal 2012 sono 62.000.